Anche tra le rovine di Gaza si celebra il mese sacro del Ramadan, tra miseria e disperazione. Bombardamenti e confini sigillati hanno ridotto questa striscia di terra in un grande campo di concentramento a cielo aperto. Un campo di concentramento “non condannato” dalla storia e dalla comunità internazionale, dove ormai si muore per nulla, anche per una semplice malattia. Ma per le cosiddette democrazie occidentali va bene così.
Alle condizioni disumane a cui sono costretti a vivere i gazawi, bisogna considerare anche i massacri sistematici attuati dal regime israeliano. L’ultimo risale a pochi giorni fa, quando migliaia di palestinesi hanno iniziato una marcia verso i confini orientali della Striscia di Gaza con i territori palestinesi occupati, per protestare contro il trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme in occasione dell’anniversario dell’occupazione della Palestina, il Nakba Day. I soldati israeliani hanno sparato indiscriminatamente contro i manifestanti palestinesi disarmati, uccidendone 64 e ferendone quasi tremila, secondo fonti mediche palestinesi.
Ma questa incredibile tragedia umanitaria non ferma la fede e il coraggio dei gazawi che, tra miseria e disperazione, non dimenticano mai di rinnovare quell’atto di fede, rimasto ormai l’unica arma di fronte ai crimini dell’oppressore e all’indifferenza dei complici.
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